La steppa sfugge al controllo


Ma la mera dinamica militare in corso nel triangolo di territorio stepposo (Badiya) compreso tra le città di Hama, Raqqa e Dayr az-Zawr indica lo svolgersi nel tempo lungo di altre dinamiche socio-politiche.

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Sono Lorenzo Trombetta. Per 25 anni ho vissuto e lavorato dall’altra parte del Mediterraneo. Leggi di più…

“(…) Sin dalla metà del XVIII secolo si registrò un’accelerazione significativa nel processo di trasformazione del contesto della steppa a seguito di una serie di eventi esterni con forti ripercussioni interne.

Le turbolenze sociali e politiche verificatesi attorno ai primi tentativi sauditi e wahhabiti di costituire un potere alternativo a quello ottomano nell’area del Golfo spinsero alcune tribù della confederazione degli Shammar, presenti ai margini settentrionali della Penisola araba, verso la valle dell’Eufrate.

A loro volta, alcune tribù della confederazione degli ‘Anaza furono sospinte verso i territori a est di Aleppo, mentre i Rawalla raggiunsero i margini delle zone rurali irachene. 

Questi massicci movimenti migratori raggiunsero le zone rurali ai margini delle grandi città di Damasco e Aleppo. In poche decine di anni un vero e proprio terremoto sociale investì la regione di Tadmur (Palmira) e la Jazira, finendo per alterare in maniera profonda l’equilibrio della Badiya e il suo rapporto con gli ambienti circostanti.

In quel contesto esistevano già due poli egemonici in relazione fra loro in maniera dinamica: da una parte le città-campagna, che proiettavano all’esterno la propria forza produttiva, commerciale, politica e culturale fin dentro allo spazio tribale; dall’altra, le potenti confederazioni tribali che premevano sull’area urbana e rurale, ma che si rifugiano nella natura desertica della Badiya. Qui regnava l’insicurezza alimentare e idrica, le comunicazioni erano rarefatte, le vie stradali erano poco pattugliate e incerte, e il potere centrale non aveva i mezzi per imporre la riscossione delle tasse e l’arruolamento di uomini in armi.

Per lungo tempo i sedentari avevano sentito il bisogno di affidarsi alle tribù nomadi per rimanere protetti dalla steppa e nella steppa. In cambio, i sedentari delle zone rurali e delle città avevano approfittato dell’accesso da parte dei beduini ai servizi offerti dalle aree urbane. Le città erano – e sono ancora oggi – un luogo dove i beduini trovavano medici e medicinali, vendevano prodotti caseari e del loro artigianato, compravano i frutti della terra e opere dell’artigianato e dell’industria locale. Questo rapporto subì un’alterazione nel corso del XIX secolo, proprio a seguito dei movimenti migratori avvenuti tra la Penisola araba e la Mesopotamia. 

La pressione dei nuovi gruppi nomadi a ridosso delle città generò inquietudine presso le comunità agricole, le élites locali dominanti e il potere centrale di allora, rappresentato dall’Impero ottomano. 

Intorno alla metà dell’Ottocento, nel contesto delle riforme amministrative e politiche promosse da Istanbul per cercare di rallentare il processo di contrazione egemonica interna e contenere le minacce esterne, i territori di Tadmur (Palmira) e la valle dell’Eufrate entrarono così gradualmente, e per la prima volta in epoca moderna, nello spazio politico siriano. 

Il centro del potere guardava infatti alla frontiera orientale come una risorsa da inglobare nell’Impero. Per Istanbul si trattava di incorporare una vasta zona per secoli rimasta di fatto fuori dal controllo ma sempre più vista dalle potenze coloniali come un’area strategica tra Mediterraneo e Oceano Indiano. Nel 1852 l’allora insediamento urbano di ad-Dayr divenne il centro amministrativo di una

nuova provincia ottomana. In quegli stessi anni, e nell’ambito della negoziazione tra potere centrale e poteri locali, le truppe imperiali condussero una serie di campagne militari per spingere le tribù locali ad accettare le  condizioni del nuovo statu quo. A partire dai primi anni Sessanta (…)”. (p.123-5).

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