Riyadh and the illusionary Palestinian State


After a few months of hiatus, the Saudis have re-entered the arena of regional politics, employing the rhetoric of the “path towards the State of Palestine” as a diversion to further their own interests. This envisioned potential State of Palestine lacks essential prerequisites, including territory, independence, and effective leadership. My news analysis for ANSA News Agency

(Lorenzo Trombetta) (ANSA) – ROMA, 23 GEN – Dopo quasi cinque mesi si torna a parlare di normalizzazione diplomatica tra Israele e Arabia Saudita, condizionando però questo obiettivo a un altro processo politico, assai più difficile da realizzare nel breve e medio termine: la nascita di uno Stato di Palestina, tra Cisgiordania e Striscia di Gaza, riconosciuto dallo stesso Stato ebraico.

I ghetti palestinesi della Striscia di Gaza e in Cisgiordania (Wikipedia)

La proposta è stata avanzata da Riad nell’ambito di un “piano di pace” che prevede, prima di tutto, la cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza e il conseguente congelamento di tutti i fronti aperti in Medio Oriente, dal Libano all’Iraq, dalla Siria allo Yemen. L’iniziativa saudita, presentata dal ministro degli Esteri Faysal ben Farhan al forum di Davos, è in parte sostenuta dall’amministrazione americana.

Fino allo scorso settembre, la Casa Bianca sperava di far siglare la storica pace tra sauditi e israeliani entro la prossima primavera, comunque prima delle presidenziali di novembre 2024.

Ma il lungo processo di avvicinamento tra regno petrolifero del Golfo e Israele – che avrebbe consentito a Washington di rafforzare il controllo dei commerci dall’Oceano Indiano al Mediterraneo passando per la Penisola araba e il Medio Oriente – è stato bruscamente interrotto dall’offensiva di Hamas del 7 ottobre e dalla successiva guerra, ancora in corso, tra l’Iran e i suoi alleati da una parte e Stati Uniti e Israele dall’altra.

Secondo John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, “la miglior strada sia per il popolo palestinese che per Israele” rimane la soluzione di due Stati, quindi la creazione di uno Stato palestinese riconosciuto da quello ebraico.

Ma l’attuale governo israeliano del premier Benyamin Netanyahu, impantanato da quasi quattro mesi a condurre una guerra dentro la Striscia di Gaza sempre più costosa e impopolare, almeno all’estero, ha chiaramente detto che la nascita di uno Stato palestinese costituirebbe un “pericolo esistenziale” per Israele.

Da Riyad insistono affermando che per “una vera pace e stabilità nella regione e per vedere una vera integrazione che porti benefici economici e sociali anche per Israele”, l’unico modo è “un processo credibile e irreversibile verso uno Stato palestinese”.

Gli analisti mediorientali esprimono tuttavia forti dubbi sulla fattibilità di quello che i sauditi descrivono come “percorso verso lo Stato palestinese”.

Prima di tutto questo Stato non avrebbe continuità territoriale né tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, né tantomeno all’interno della stessa West Bank, frammentata com’è al suo interno in ghetti separati gli uni dagli altri e del tutto dipendenti da Israele.

Quindi, continuano le analisi apparse in questi giorni sui media della regione, questo immaginato Stato palestinese non sarebbe autonomo né da un punto di vista economico-finanziario, né nella gestione delle risorse, inclusa la cruciale questione dei posti di lavoro: tutti dossier saldamente in mano a Israele, che da decenni controlla persino l’erogazione degli stipendi dei dipendenti dell’Anp in Cisgiordania.

In terzo luogo, ricordano gli analisti, mancherebbe una leadership palestinese forte e matura, composta da quadri politici e amministrativi autonomi e indipendenti, e non esposti – come è invece il caso sia dell’Anp sia di Hamas – alle influenze dirette dello stesso Stato ebraico, degli Stati Uniti o dei vari Paesi arabi, Arabia Saudita inclusa. (ANSA).

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